Venti di Corte sono arrivi e partenze
salite e discese
lacrime e tante risate
la strada che separa la mia porta dalla tua
– aperta –
ma non sempre.
È una fatica che diventa più leggera perché siamo insieme
anche se ci scopriamo ogni giorno diversi
sono figli che nascono e imparano a camminare
è una vita piena di vita
che se me l’avessero raccontata
così densa non l’avrei mai creduta.
La prima volta che ho visto La Corte era il 2008 e io ero una giovane capo scout che riaccompagnava a casa un paio di lupetti dall’attività settimanale. Di quel giorno ricordo l’impressione che in quel cortile polveroso, con tantissimi bambini che giocavano a nascondino tra la betoniera e un mucchio di mattoni accatastati in un angolo, stesse accadendo qualcosa che non capivo del tutto (ma come si fa a vivere così?), ma che mi attirava come una calamita.
La calamita ha fatto il suo e mi ha riportata in quel cortile tante volte, prima per “dare una mano”, poi per ascoltare storie, poi per sbirciare un modo di essere famiglia che all’inizio – e a quel punto eravamo in due – abbiamo invidiato, poi ammirato, poi provato a plasmare in un modo che ci stesse comodo e in un cui poter provare a sperimentarci. E quindi la storia di tanti: gruppo di lavoro e il primo pancione che cresce, pavimenti da posare mentre si cambia il pannolino al secondo neonato e poi trasloco, a inizio autunno, con l’idea che l’avventura che ci aspettava sarebbe stata gloriosa.
Non lo è stata, gloriosa. È stata, ed è tuttora, quotidiana. È l’avventura dell’ordinario, del provare giorno dopo giorno a compiere quei passi che ci portano gli uni più vicini agli altri, sapendo che il vero Altro con il quale impariamo a fare i conti in fondo siamo noi stessi. È scoprire che nessuno cambia nessuno, ma che insieme possiamo crescere e trasformarci a vicenda.
Così, a quindici anni di distanza da quella “prima volta” quando guardo il cortile provo stupore per quanto sia cambiato e gratitudine per l’erba che già da qualche tempo sostituisce la polvere e per gli alberi che nel tempo abbiamo piantato, che sono sopravvissuti ad estati e inverni e ora ci regalano la loro ombra nelle giornate più calde e si fanno tana e castello per i mille giochi dei nostri bambini. E ripenso ai figli che ho visto crescere e andare, a quelli che vedo ritornare ogni tanto con negli occhi la scintilla di chi sta costruendo la sua strada, a quelli che con Andrea abbiamo messo al mondo e a quelli che abbiamo visto nascere nelle altre famiglie e ai quali cerchiamo ogni giorno di mostrare con la presenza che questo modo di vivere è un modo buono e possibile per chiunque abbia voglia di provarci.
Vedo le facce e le storie di quanti nel tempo sono passati nelle nostre case, vedo la ricchezza dell’incontro e la creatività che nasce dalla semplice presenza di un luogo, capace nel tempo di farsi contenitore di tanti desideri e, ogni tanto, di qualche progetto.
Penso a chi prima di noi ha sognato per questo luogo un futuro possibile con una capacità di vedere l’invisibile che oggi mi commuove e che non smette di stupirmi. A Patrizia, Giovanni, Enrico, Sabina e Isabella dico grazie, per la visione, il sogno, il progetto e la capacità di lasciarlo andare quando hanno capito che non era più per loro.
Ad Andrea, Luca, Abramo, Carlo, Paolo, Gino, Elena, Elena e Simona dico grazie per il legame che ci unisce – che come la fratellanza non si sceglie, ma si coltiva e si costruisce, giorno dopo giorno.